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Paolo Rossi - 04-02-2005
Riceviamo una segnalazione da altra lista e volentieri diffondiamo - Red

UNIVERSITA': LA SCENEGGIATA DEL MINISTRO E LA MORTE (ANNUNCIATA) DELL'AUTONOMIA (28.1.2005)

Dobbiamo confessarlo apertamente: per un po' ci avevamo creduto anche noi. Avevamo creduto alla favola bella del Ministro dell'Istruzione (non piu' Pubblica, ormai da tempo) che, folgorato sulla via di Damasco, capisce che nella formazione e nella ricerca risiede il futuro del Paese e in Consiglio dei Ministri si straccia le vesti (firmate), si mette di traverso, minaccia di dimettersi e di ritirarsi a San Patrignano se l'Università non verrà finanziata, se il blocco delle assunzioni dei giovani ricercatori non verrà annullato, se insomma non verrà ripristinata quell'autonomia così importante per tutti da essere perfino oggetto di un articolo della Costituzione.
E in questo slancio di ritrovato entusiasmo ci eravamo anche detti che in fondo il modesto vincolo della Finanziaria, la richiesta che gli Atenei presentassero piani triennali di sviluppo, era una cosa sensata.. Per anni ci eravamo riempiti la bocca con appelli alla programmazione, e ora che ci chiedevano di farla per davvero non potevamo certo lamentarci.
E non sono mancati pranzi e cene per festeggiare i neo-assunti, che accettavano con gioia di svolgere compiti più onerosi in cambio del solito stipendio, perché questa è la natura del docente universitario: vale più un titolo su un pezzo di carta che una cifra maggiore in busta-paga.
Ma ai poveretti era già toccato aspettare per un paio di anni, dopo che avevano vinto i rispettivi concorsi, prima che il Governo vedesse la luce e capisse che il taglio di una spesa (irrisoria) non iscritta nel bilancio dello Stato non aiuta a sanarlo né ad abbassare le tasse (ammesso che questo sia davvero il primo problema del Paese).
Forti della nostra illusione, riuscivamo persino a scandalizzarci solo moderatamente del fatto che le nostre rappresentanze più o meno legittime e più o meno istituzionali, come la Conferenza dei Rettori e il CUN, per dirne due, stessero concludendo a tarallucci e vino una terrificante vertenza sullo stato giuridico dei docenti, e che, ben sazi del classico piatto di lenticchie, aiutassero il Ministro a imbellettare, con una mano di vernice trasparente, un provvedimento il cui iter naturale sarebbe stato invece nella direzione del cestino. In fondo ci era andata comunque meglio che ai magistrati! Potevamo inaugurare gli Anni Accademici senza sfilare con la Costituzione sotto il braccio, e dire ai nostri studenti, ai nostri dottorandi, alle nostre migliaia di precari di ogni genere, specie e varietà che, in fondo, lassù qualcuno li amava.
Non sono passati quindici giorni, e ci siamo svegliati con la notizia che le elezioni per le commissioni dei nuovi concorsi, quasi tutti destinati ai più giovani, e attesi da più di un anno, erano state rinviate dal Ministero, come minimo per sei mesi, e più probabilmente a tempo indeterminato. È stata dura, ma lì per lì siamo rimasti sopraffatti dalle profonde motivazioni tecniche: non c'era stato il tempo di ricontrollare le liste elettorali. Poi qualcuno si è preso la briga di fare una verifica on line (siamo nell'era di Internet, per fortuna), e ha scoperto che le liste erano già perfettamente in ordine, con ritardi massimi di due giorni, grazie alla solerzia di migliaia di vituperati e malpagati funzionari amministrativi locali che hanno passato le vacanze di Capodanno a fare gli straordinari (non sempre retribuiti) per sistemare le pratiche pendenti.
Ma non c'è stato il tempo di metabolizzare il lutto: dopo una settimana si riunisce il Consiglio dei Ministri, e decide che abbiamo due mesi per predisporre una programmazione che nessuno è stato capace di fare in vent'anni. Il tutto stabilito per Decreto-Legge, lo strumento-principe della governabilità craxiana (a volte ritornano!) e col rischio che poi la maggioranza non lo converta in legge in parlamento entro i sessanta giorni di rito (sto scherzando, ovviamente: "questa" maggioranza approverebbe a scatola chiusa e con voto di fiducia anche la Legge del Menga).
Non importa, ce la siamo voluta, e la faremo, anche a costo di rinunciare per l'occasione al nostro sport preferito, la bega accademica.
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